Non sposate le mie figlie! (titolo originale Qu’est-ce qu’on a fait au bon Dieu?),
diretta dal regista e sceneggiatore francese Philippe de Chauveron, è una
commedia ben condotta che fa letteralmente sbellicare dalle risate, ironizzando
sulle paure e sui preconcetti di una borghesia di provincia che vuole stare al
passo con i tempi.
I coniugi francesi Verneuil, cattolici e gollisti, hanno generato quattro belle figlie,
allevandole secondo sani princìpi di tolleranza verso gli immigrati, senza
immaginare quanto questa educazione possa sfociare in atteggiamenti di apertura
mentale assai difficili da digerire per gli anziani genitori.
Le prime tre figlie, infatti, sposano a breve distanza l’una
dall’altra rispettivamente un algerino
musulmano, un ebreo e un cinese, i quali pur ben integrati e
benestanti (esercitano le professioni di
avvocato, imprenditore e banchiere), tengono ciascuno alle proprie origini e
usanze, estremamente differenti le une dalle altre. La situazione familiare
diventa molto complicata soprattutto alle feste comandate, quando nel goffo
tentativo di non offendere nessuna delle tre culture i genitori delle ragazze
incappano inesorabilmente in memorabili gaffe.
Quando finalmente la quarta
figlia, la più giovane, annuncia che presto almeno lei sposerà un cattolico i coniugi Verneuil sono al settimo cielo, ma la
situazione precipita quando al primo incontro con il futuro genero essi apprendono
con costernazione che si tratta di un africano
della Costa d’Avorio, di professione attore. Tutti cercano di osteggiare il
quarto matrimonio, tra cui le sorelle della futura sposa, i tre generi che
vedono inficiati dall’intruso i loro goffi tentativi di mediazione culturale
all’interno della famiglia e persino il padre del futuro sposo, ex-militare apertamente
ostile all’imperialismo francese. I colpi di scena esilaranti non mancano anche
in questa fase della storia, nell'accompagnare lo spettatore verso l’immancabile
lieto fine.
La morale di questa favola
moderna è che siamo tutti tolleranti finché lo straniero non entra proprio in casa nostra portandoci via gli
affetti più preziosi e che anche a chi si definisce decisamente antirazzista è necessario un certo sforzo per raggiungere la vera tolleranza.