giovedì 14 maggio 2015

Recensione del romanzo “Lo straniero” di Albert Camus



Il romanzo Lo straniero (L’ètranger), ad opera dello scrittore e filosofo anarchico Albert Camus, tratta dell’assurdità della vita e della ineluttabile irrazionalità del destino.
Pubblicato nel 1942, il libro narra le ultime settimane di vita di un giovane impiegato di origine francese che vive ad Algeri, di nome Meursault. La storia si apre con la morte della madre del protagonista, contraddistinta dalla apatica assenza di emozioni nel modesto impiegato durante il rito funebre. Soltanto poche ore dopo la funzione, Meursault comincia ad intrecciare una relazione con una ex collega che presto si innamora di lui al punto da volerlo sposare, ma anche in questa circostanza l’uomo non viene minimamente scalfito da emozioni o sentimenti.

Per una serie di accadimenti casuali, il protagonista della storia durante un torrido pomeriggio si macchia di un omicidio, compiuto su una spiaggia a colpi di pistola, forse solo per noia. Segue il processo, durante il quale si discute a lungo della totale assenza di rimorso in Meursault, alla ricerca della sua anima da criminale, nel rifiuto da parte di tutti gli astanti che un uomo possa uccidere per caso.

Indifferente a sé e al mondo, a tratti totalmente estraniato dalla realtà, l’impiegato di Algeri durante il processo in cui è imputato non cerca giustificazioni e non si vuole difendere con menzogne. Sembra guardare se stesso dall’esterno, ritenendo che il fatto accaduto sia davvero accidentale, e accetta persino la condanna a morte con indifferenza.
Meursault è straniero nei confronti di se stesso e degli altri, senza ambizioni neanche sul lavoro, vive nella sua normalità con indifferenza e alienazione, estraniandosi dalla realtà. 

Albert Camus con questa opera imperniata sul cinismo narrata in prima persona, dagli evidenti spunti autobiografici, si pone come radicale esponente dell’esistenzialismo, smarrito e annichilito dalla mancanza di risposte,  in balìa del destino ineluttabile che conduce sempre e comunque soltanto alla morte.

domenica 10 maggio 2015

Recensione del romanzo “I miserabili” di Victor-Marie Hugo



Vale sicuramente la pena di accingersi a leggere le 1440 pagine del romanzo storico I miserabili (titolo originale: Les misérables), grandiosa opera dello scrittore e statista francese Victor-Marie Hugo. Pubblicato nel 1862, questo capolavoro narra le vicende di molteplici personaggi appartenenti per lo più agli strati bassi della società parigina, quali ex forzati, prostitute e in generale miseri peccatori, negli anni dal 1815 al 1833, periodo assai turbolento per la Francia appena uscita dalla Rivoluzione e dalle Guerre napoleoniche.

Il romanzo si apre con la storia del vescovo di Digne, uomo di grande elevatezza morale, alla cui abitazione un  giorno per caso capita  Jean Valjean, un robusto potatore 46enne che a causa di un furto di pane tentato per sfamare sorella e nipoti era stato condannato a 5 anni di lavori forzati nel carcere di Tolone. A causa di ripetute evasioni, al forzato sono stati comminati altri 14 anni di pena detentiva. Una volta uscito definitivamente di prigione, Jean Valjean ormai totalmente reietto dalla società si è convinto di possedere davvero una natura malvagia e si macchia di un furto anche nella casa del buon vescovo, l’unico che gli abbia offerto una cena e un letto su cui dormire. Dopo avere estorto anche una  moneta d’argento ad un bambino incontrato per strada, il protagonista della storia comincia la sua redenzione e si rende finalmente conto che non è certo quella del ladro la sua vera natura. Finalmente deciso a cambiare vita, si stabilisce a Montreuil-sur-mer sotto falso nome, dove impianta una fiorente industria di bigiotteria. Uomo dalla personalità assai complessa, grazie alla sua ritrovata carità e bontà viene eletto sindaco della città e una volta divenuto ricco dimostra sempre maggiore generosità verso i più miseri e reietti.

A Montreuil-sur-mer, però, il destino mette sulle sue tracce l’ispettore di polizia Javert già secondino nel carcere di Tolone dove Jean Valjean era stato recluso per tanti anni. Parallelamente, Victor Hugo racconta con dovizia di particolari gli accadimenti storici del periodo, per poi passare a narrare la triste storia di Fantine, ragazza madre che per indigenza è costretta ad affidare l’amata figlia Cosette di 3 anni ad una malvagia coppia di Montfermeil.

A Montreuil-sur-mer   Valjean incontra Fantine già seriamente ammalata, cerca di prestarle soccorso e sul suo letto di morte le giura che si occuperà della bambina, ma subito dopo la coscienza gli impone, una volta riconosciuto dall’ispettore Javert, di lasciarsi arrestare per i furti commessi in passato subito dopo la sua scarcerazione. Presto l'istinto di libertà lo spinge ad evadere dai lavori forzati mentre si trova su di un vascello, simulando la propria morte durante una tempesta.

La missione di Jean Valjean è di recarsi a Montfermeil a salvare Cosette, la figlia di Fantine, dopo aver nascosto tutti i suoi averi in un bosco seppellendoli ai piedi di una quercia. Una volta riscattata la bambina, l’ex forzato si stabilisce a Parigi con lei colmandola di attenzioni e ricomincia ad aiutare gli oppressi, ma l’ispettore Javert lo individua nuovamente.

Dopo essere fuggito con la bambina, Jean Valjean si nasconde 5 anni all’interno di un convento gestito da suore, dove la piccola viene educata e si trasforma da selvaggia in una signorina bella ed elegante. In seguito, l’innamoramento di Cosette per il giovane avvocato Marius cambia i piani di Valjean, il quale si vede costretto per il profondo affetto che prova verso la ragazza a salvare  la vita del giovane mentre sta combattendo sulle barricate durante gli scontri fra rivoluzionari e soldati di Luigi Filippo. Marius sposa Cosette, ma informato da Valjean riguardo al suo passato di galeotto si sente obbligato ad allontanarlo  dalla sua famiglia. Ormai 64 enne, Valjean  si ammala anche per il dolore dovuto alla lontananza da Cosette, ma almeno alla fine non muore solo.


Il romanzo I miserabili, che designa Hugo padre del romanticismo francese, è un’opera epica realizzata in 48 libri durante 15 anni di stesura che non può lasciare il lettore indifferente, soprattutto per la sua profonda riflessione sociale. Tra perfette e calzanti descrizioni di molteplici personaggi, i quali vengono più volte messi da parte dall’autore e quindi fatti riapparire all’improvviso nel corso dell’intricata vicenda, tra cadute e risalite, peccati e redenzioni, intrecci, colpi di scena spettacolari e coinvolgenti, il romanzo narra di una vita spesa a favore degli altri e del difficile riscatto dopo l’emarginazione. Nel romanzo c’è molto di più della storia di un galeotto forte e rozzo redento da un vescovo di provincia, ci sono gli aspetti più profondi della coscienza di un uomo, nonché le radici sotterranee di quella grande nazione che è oggi la Francia.