sabato 22 novembre 2014

Recensione del romanzo “Storia di una ladra di libri”



Storia di una ladra di libri è stato pubblicato nel 2005 dallo scrittore australiano trentanovenne Markus Zusak, autore di libri per ragazzi di grande successo, con il titolo originale La bambina che salvava i libri (questo è stato rimpiazzato dopo l’uscita dell’omonimo film, che oltretutto si discosta parecchio dal romanzo). Questo romanzo non spicca per eccezionali doti stilistiche, ma può essere considerato assai originale per molti aspetti, tra cui il fatto non trascurabile che il narratore è la Morte in persona.

La storia inizia nel 1939 nella città immaginaria di Molching, ma l’ambientazione non è certo da fiaba, in quanto si svolge nella Germania nazista. La piccola Liesel Meminger, già provata da anni di stenti, all’età di nove anni assiste alla morte del fratellino minore e pochi giorni dopo viene consegnata in adozione dalla madre ad una coppia tedesca che ha due figli già grandi. Bambina così speciale da incuriosire persino la Morte che, come possiamo immaginare, in quel periodo aveva molto da fare, Liesel pur essendo analfabeta all’inizio della storia ruba un libro. Via via che impara a leggere, la bambina continua con fervore la sua attività di ladra di libri usati, comprendendo sempre più che le parole sono così potenti da potere di volta in volta anche creare, manipolare e distruggere.

Liesel, dotata di un cuore grande, si affeziona presto ai genitori adottivi e ben si adatta alla vita nel quartiere povero in cui abita, dimostrandosi un personaggio forte, leale e coraggioso, soprattutto quando, a causa di una lontana promessa, in quella che ormai è la sua casa arriva un ragazzo ebreo che tenta di sfuggire ai rastrellamenti, mettendo a repentaglio la vita di tutta la famiglia.

I libri rubati consentono a Liesel, mentre si trova assiepata assieme ai vicini di casa nel rifugio antiaereo di zona, grazie alla sua lettura ad alta voce, di alleviare almeno in parte l’angoscia che i bombardamenti insinuano nella mente di grandi e piccini, tanto da meritare l’epiteto di “scuotitrice di parole”. Una bambina non avrebbe dovuto assistere a tutto questo orrore a cui è impossibile ancora oggi dare una spiegazione, ma quando le viene regalato un taccuino, lei comincia a descriverlo, sperando che un giorno lontano qualcuno sarà in grado di leggere le sue parole.

La madre dell’autore è di nazionalità tedesca ed infatti Markus Zusak, oltre a narrare gli orrendi soprusi a cui vennero sottoposti gli ebrei durante il nazismo, indugia anche sulle sofferenze delle frange più povere del popolo tedesco, affamato da una guerra assurda e poi decimato da bombardamenti che hanno raso completamente al suolo intere città. Questo romanzo è consigliato a chi durante la lettura ama versare calde lacrime. 

domenica 9 novembre 2014

Recensione del film "Il sale della terra"


Il sale della terra diretto da Wim Wenders e da Juliano Ribeiro Salgado è un film-documentario che sottolinea, con immagini potenti dirette in fondo al cuore dello spettatore, quanto noi esseri umani siamo capaci di distruggere noi stessi, i nostri simili e lo splendido pianeta sul quale viviamo.

Il teutonico Wim (Ernst Wilhelm) Wenders in gioventù ha studiato medicina, filosofia e pittura, decidendo in seguito di dedicarsi con eclettismo alla regia, alla produzione cinematografica, alla scrittura e alla fotografia. Attento osservatore della natura umana, si era già cimentato in passato in documentari di grande successo, ma mai prima d’ora aveva saputo conferire alle immagini di genti e luoghi lontani un tale significato sociale e politico.

Juliano Ribeiro Salgado è il figlio primogenito del fotografo brasiliano Sebastião Salgado, il quale da quarant’anni gira il mondo con la sua macchina fotografica, realizzando sublimi e brutali immagini in bianco e nero dotate di rara potenza lirica.

Il sale della terra, opera incentrata sulla irragionevolezza umana, si apre con immagini che ritraggono i cercatori d’oro brasiliani all’opera nella più grande miniera a cielo aperto del pianeta, talmente accalcati l’uno all’altro da sembrare piccole e disperate formiche operose. La pellicola prosegue con il fotografo Sebastião Salgado che recita la parte di se stesso, portandosi alternativamente dietro e davanti all’obiettivo per raccontare la storia della sua vita e di tutto l’universo che ha  saputo esplorare e fotografare.

Le fotografie che si susseguono nella pellicola, conferendole grande impatto umanitario e sociale, ritraggono la siccità del Sahel, le genti più misere della Colombia, le tribù del Brasile minacciate dall’economia moderna, i terribili genocidi africani, i pozzi petroliferi incendiati nel Kuwait, in un'alternanza di immagini di mestieri, esodi, sofferenze e morte, per informare, provocare ed emozionare.

Dopo il viaggio in Rwanda, Sebastião Salgado che per realizzare i suoi reportage si mescola per mesi alle popolazioni in modo da vivere a stretto contatto con i suoi soggetti, è tornato a casa psicologicamente distrutto da tutta quella sofferenza. Nella pellicola vediamo come la moglie Lèlia Wanick, sua musa ispiratrice, riesce a salvarlo coinvolgendolo in un progetto ecologista di riforestazione delle sue terre natie disseccate dalla siccità.

Il sale della terra non è un documentario in senso stretto, ma un film epico di sensibilità elevata che conferendo dinamismo alla staticità delle immagini fotografiche di Salgado mette lo spettatore brutalmente di fronte alla crudeltà dell’uomo moderno, in contrasto con la meravigliosa bellezza del nostro pianeta laddove egli non è ancora riuscito a contaminarlo.