mercoledì 23 settembre 2015

Recensione del film “Taxi Teheran”




Difficilmente chi ha avuto la fortuna di nascere e crescere in un Paese democratico si rende conto di cosa significhi non poter avere il riconoscimento della libertà di manifestazione del pensiero.
Taxi Teheran (titolo originale Taksojuht)è un film che  il regista, attore e sceneggiatore iraniano Jafar Panahi utilizza come strumento per raccontare al mondo esterno il tipo di società che il regime della Repubblica Islamica dell’Iran ha creato all’interno del proprio Paese vietando di rappresentarla attraverso immagini che possano  varcarne i confini.

Il cinquantacinquenne Jafar Panahi, da sempre impegnato nella lotta per la libertà di espressione, è stato arrestato nel 2010 per aver partecipato ad una manifestazione di protesta contro il regime iraniano; condannato a 6 anni di reclusione e a 20 anni di preclusione dal dirigere, scrivere e produrre film e rilasciare interviste, dopo essere stato incarcerato si trova ora agli arresti domiciliari. 

Il brillante cineasta iraniano è però  riuscito ugualmente da allora a girare altri 3 film in assoluta clandestinità. Tra questi, Taxi Teheran una volta varcato avventurosamente il confine del suo Paese ha raggiunto le maggiori rassegne cinematografiche,  conquistando nel 2015 l’Orso d’oro al Festival internazionale del cinema di Berlino nonché conseguendo il premio Fipresci.

La storia narra di un inesperto autista di taxi, interpretato dallo stesso Jafar Panahi, il quale attraversando con il suo mezzo le strade di Teheran si rapporta con pittoreschi passeggeri, ascoltando le loro opinioni sempre con un bonario sorriso sulle labbra. Il taxi, che va inteso come un luogo chiuso capace di eludere la censura, provvisto di telecamera fissa al centro del cruscotto, diventa così un teatro in movimento aperto verso il mondo esterno dove i passeggeri che salgono e scendono, uomini e donne, ricchi e indigenti, disonesti e galantuomini, possono raccontare l’Iran di oggi senza filtri.

È una fortuna che Jafar Panahi non abbia consentito al regime iraniano di spegnere il suo vivace spirito e che il suo amore per il cinema e per il suo Paese sia stato più forte di qualsiasi proibizione e vessazione, nella consapevolezza che sono proprio le tecnologie digitali a rendere sempre più difficile per i regimi totalitari impedire la libertà di espressione.


Taxi Teheran, sospeso tra documentario e narrazione, recitato da attori non professionisti i cui nomi devono restare anonimi  per ovvi motivi, racconta al pubblico di tutto il mondo,  con estrema leggerezza, la pluralità dei punti di vista  dei cittadini vessati dal regime iraniano. Jafar Panahi non ha potuto ritirare al Festival di Berlino il  premio alla sua meravigliosa capacità di raccontare, ma lo ha fatto coraggiosamente al suo posto la nipotina che ha recitato anch’essa nel film, regalando a tutti i presenti  minuti di intensa commozione.

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