martedì 17 settembre 2013

Andiamo al cinema a vedere “Il mondo di Arthur Newman” interpretato da Colin Firth



Capita a molti di noi, una volta giunti alla mezza età, di provare la netta sensazione, voltandosi indietro, di non avere realizzato nella propria vita nulla che possa lasciare il segno e di non essere riusciti a far affiorare appieno la propria personalità, collezionando un fallimento dietro l’altro sia sul lavoro sia nella vita affettiva.

Il bravo e prolifico attore inglese Colin Firth nel film "Il mondo di Arthur Newman" interpreta Wallace Avery, timido e insignificante impiegato della FedEx che ha alle spalle un sofferto divorzio e un figlio adolescente con il quale non riesce a comunicare. Quando l’avvilimento dovuto a quella esistenza mediocre sta per giungere al culmine, il protagonista della storia un giorno decide che è giunto il momento di reagire e di lasciare che finalmente la sua vera natura venga a galla, rendendosi conto che l’unico modo per liberarsi con un colpo di spugna di tutti i suoi insuccessi sia di inscenare la propria morte.

Il trucco gli riesce e  grazie alla possibilità di procurarsi un passaporto falso intestato ad Arthur Newman comincia una nuova vita trasformandosi nel campione di golf che aveva sempre desiderato di essere. Durante il viaggio in decappottabile verso Terre Haute in Indiana, Arthur Newman si imbatte in una donna un po' sbandata molto più giovane di lui (Michaela Fitzgerald, interpretata dall’attrice inglese Emily Blunt),  triste e tormentata dark lady.

Il film prende la piega di un road movie senza meta,  lungo strade semideserte inframmezzate da squallidi motel. I protagonisti scoprono quasi subito di avere ambedue un passato da eliminare e molte bugie di cui rendere conto; alla ricerca delle proprie identità, per reinventarsi  seguono coppie innamorate incontrate per caso lungo la strada e quando non sono visti invadono le loro abitazioni, vestendone gli abiti e facendo l’amore nei loro letti.

Il regista pubblicitario newyorkese Dante Ariola, alle prese per la prima volta con un lungometraggio, riesce a produrre una pellicola raffinata, optando però per un finale forse un po’ troppo prevedibile.




Francesca Paolillo
 


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